VESUVIO
Si tratta di un vulcano particolarmente interessante per la sua storia e per la frequenza delle sue eruzioni. Fa parte del sistema montuoso Somma - Vesuvio ed è alto 1281 metri. È situato leggermente all'interno della costa del golfo di Napoli, ad una decina di chilometri ad est del capoluogo campano.
Il Vesuvio costituisce un colpo d'occhio di inconsueta bellezza nel panorama del golfo, specialmente se visto dal mare con la città sullo sfondo. Una celebre immagine da cartolina ripresa dalla collina di Posillipo lo ha fatto entrare di diritto nell'immaginario collettivo della città di Napoli, sebbene dagli abitanti del luogo sia considerato uno stereotipo al pari del celebre sole - mare - mandolino. Non altrettanto stereotipo, ma ben più importante, è il primato che il Vesuvio detiene a livello mondiale: si tratta del vulcano che per primo è stato studiato sistematicamente.
Vesuvio visto da PosillipoRisale infatti al 1841 la costruzione di un Osservatorio (tuttora funzionante, anche se solo come dependance di più moderne strutture ubicate a Napoli) e si può ben dire che la vulcanologia, come vera e propria ricerca scientifica, nasce in quegli anni.
Ancora in anni più recenti, siamo ai primi decenni del XX secolo, quando gli statunitensi decisero di creare un osservatorio alle Hawaii, si rifecero all'esperienza vesuviana.
Dal 1944 non si sono più avute sue eruzioni. Pur tuttavia, essendo il vulcano considerato in stato di quiescenza, alcuni interventi legislativi hanno individuato una zona rossa comprendente 18 Comuni (quelli del Parco Nazionale del Vesuvio oltre a Cercola, Pompei, Portici, San Giorgio a Cremano, Torre Annunziata); il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile, con la collaborazione della comunità scientifica e delle autorità locali, ha predisposto un piano di emergenza che viene costantemente aggiornato. I Comuni, inoltre, mettono ciclicamente in atto delle esercitazioni di Protezione Civile al fine di preparare la popolazione all'evento dell'eruzione. Di recente, la Regione ha predisposto incentivi atti a favorire il decongestionamento dell'area a maggior rischio.
La distruzione di Pompei ed Ercolano
Non fu solo, Plinio, nella sua morte; poiché, anche se molti degli abitanti delle città vesuviane furono in grado di trovare una via di fuga, l'improvvisa e sopraffacente pioggia di cenere e lapilli fece si che non pochi di loro perirono nelle strade. Se consideriamo l'efficace narrazione succitata che si riferisce a località site a distanza di sicurezza, è immaginabile quel che si verificò alle pendici del vulcano.
Le città stesse scomparvero alla vista, sepolte sotto almeno 6 metri di materiali eruttivi, e come molte altre cose, con il passare del tempo, furono sepolte anche nella memoria.
Le desolate distese che avevano visto la vita vivace e ricca, ora erano evitate e oggetto di terrori superstiziosi. Per molti secoli restarono completamente dimenticate.
Oggi, peraltro, grazie anche a studi comparati con vulcani simili al Vesuvio, si sono chiariti numerosi aspetti di quell'eruzione che, ben descritti da Plinio il giovane, erano stati considerati viziati da eccessiva fantasiosità.
In particolare, le caratteristiche diverse dei fenomeni che interessarono Pompei e Stabia rispetto ad Ercolano: le prime furono sommerse da una pioggia di cenere e lapilli che, salvo un intervallo di alcune ore (trappola mortale per tanti che rientrarono alla ricerca di persone care e oggetti preziosi), cadde ininterrotta.
Ercolano, non fu investita nella prima fase, ma quasi dodici ore dopo, e, sino alle recentissime scoperte, si era pensato che tutti gli abitanti si fossero posti in salvo. Diversa fu la natura dei fenomeni che interessarono questo piccolo centro, molto più elegante e raffinato delle commerciali Pompei e Stabia.
Infatti, il gigantesco pino di materiali eruttivi prese a collassare e, per effetto del vento, un'infernale mistura di gas roventi, ceneri e vapor acqueo, investì l'area di Ercolano. Coloro che si trovavano all'aperto ebbero forse miglior sorte, vaporizzati all'istante, di chi trovandosi al riparo ha lasciato tracce di una morte che, pur rapida, ebbe caratteristiche tremende. Il fenomeno è oggi conosciuto come "nube ardente" o frane piroclastiche.
Al calar della sera del secondo giorno, l'attività eruttiva iniziò a calare rapidamente fino a cessare del tutto. L'eruzione era durata poco più di 25 ore, durante le quali il vulcano aveva espulso quasi un miliardo di metri cubi di materiale.